19/03/2025 - La Cultura Marinaresca
Dai 400 giorni intorno al mondo al periplo d’Italia a vela per i diritti delle persone con disabilità: la «dimensione avventura» di un socio della LNI che ha esplorato il mare e la sua anima
Articolo di Michele Valente pubblicato sul numero novembre-dicembre 2024 della rivista "Lega Navale"
Di Ambrogio Fogar (1941-2005) e della «dimensione avventura» che ha assunto la sua vita si conosce tutto. O forse no. «Venite con me, amici, a provare anche solo per poco questa vita piena di azione e contemplazione, piena di paura e orgoglio, per poi tornare a casa più ricchi di umiltà, più pronti ad accettarci e aiutarci l’un l’altro con realtà e semplicità: venite, che forse non è tardi», così annotava il 14 giugno 1974 dal Mar dei Coralli in una delle pagine più intense del suo diario di bordo 400 giorni intorno al mondo, ripubblicato nel 2024 dalla casa editrice TEA a cinquant’anni dall’impresa.
Come nasce il Fogar «marinaio», il primo italiano a compiere la circumnavigazione del globo in solitario nella direzione opposta ai venti e alle correnti predominanti? «“Esploso in mare” è una definizione marcata dal giornalista di nautica Attilio Eolo Pratella, Lello per noi amici [collaboratore della rivista Lega Navale, ndr], che dal Giro del Mondo seguì le imprese di mio padre», ci racconta la figlia, la giornalista Francesca Fogar. «L’espressione è calzante, perché fu un colpo di fulmine, seguito alla prima volta che il “bambino milanese Ambrogio” vide il mare, sul molo di Trieste, portato lì da suo padre e mio nonno Antonio. Da quel giorno il mare gli rimase dentro, anche se “in sordina” per molti anni, finché a 22 anni, quasi adulto, gli capitò di salire a bordo di una piccola imbarcazione, che amici della sua famiglia usavano per diporto, durante le vacanze estive. Credo che quello fu il momento in cui decise di cimentarsi in mare. Per lui era un elemento pressoché sconosciuto, poiché aveva annoverato molte esperienze diciamo “avventurose”, ma in cielo, come paracadutista e in montagna, in scalata e sugli sci (aveva attraversato due volte le Alpi). cimentarsi in mare. Per lui era un elemento pressoché sconosciuto, poiché aveva annoverato molte esperienze diciamo “avventurose”, ma in cielo, come paracadutista e in montagna, in scalata e sugli sci (aveva attraversato due volte le Alpi).
Come per le altre, anche il mare venne vissuto da mio padre in modo “totalizzante”. Iniziò a far pratica e a studiare, partecipò a regate (tra cui l’Ostar, nel 1972) sentendo quasi l’urgenza di misurare le proprie forze nell’Oceano, il più forte di tutti. Ovviamente non in gara, perché gara non esiste, ma come potrebbe fare un allievo, quando chiede al suo maestro di metterlo alla prova». Fogar salpa il 1° novembre 1973 da Castiglione della Pescaia con pochi amici al suo fianco, e rientra il 7 dicembre 1974, dopo 37 000 miglia, nel borgo marinaro della Maremma grossetana accolto da una folla festante di migliaia di persone che celebrano la riuscita dell’impresa. Tredici mesi di navigazione vissuti in simbiosi con la sua Surprise, uno sloop in legno lungo 12 metri costruito nel 1967 dal Cantiere Navale 71 dall’amico Niccolò Puccinelli.
Scrive Fogar in un altro passaggio: «Penso intensamente alla mia barca, alla forza che chiude in sé, sotto l’eleganza e l’apparente fragilità delle forme. Ha saputo custodirmi con cura nel caos delle onde, trovando da sola la strada per uscire dal pericolo quasi senza bisogno di aiuto». La barca alzava a riva il guidone della Lega Navale Italiana, che aveva patrocinato l’impresa di quel suo socio milanese fuori dal comune. Con la Lega Navale, ricorda la figlia Francesca, «c’è stato un rapporto di grande intesa, nutrito da un interesse comune e prioritario. Al tempo alla presidenza c’era Luigi Durand de la Penne e la Lega Navale ha seguito, appoggiato, sostenuto la visione esperienziale di Ambrogio, nelle imprese riuscite, quanto ha confutato e cercato di capire e valutare, prima di giudicare, le avversità e polemiche che si sono accompagnate ad altre, come nel caso del naufragio del Surprise, nel 1978, in cui perse la vita il grande Mauro Mancini».
La sfida più grande per Fogar, però, resta sempre quella che deve ancora venire. E questa è forse la più importante di tutte. Il grave incidente che lo colpì nel 1992, durante l’ottava tappa del rally Pechino-Mosca-Parigi, lasciandolo paralizzato per tutta la vita, non frenò il suo spirito di esploratore del mare e della sua anima. «Operazione Speranza». Così, nel 1997, cinque anni dopo l’incidente, Fogar porta a compimento un periplo d’Italia a vela su una sedia a rotelle basculante per accendere i riflettori sui diritti delle persone con disabilità. «Era partito con l’idea di rifare addirittura il Giro del Mondo, di nuovo, ma stavolta da tetraplegico. Per portare ancora più in luce quanto siano speranza, volontà e dedizione a dar corpo ad un sogno e trasformarlo in esperienza. E non il contrario», riferisce Francesca Fogar, che ricorda: «I medici tuttavia gli chiesero di andare per gradi, così diventò il Giro d’Italia, che salpò da Genova il 18 maggio 1997 per approdare, o forse bisognerebbe dire per concludere, in quella Trieste in cui tutto ebbe inizio. Mio padre durante quel viaggio tornò ragazzo, seppur immobile. E la sua grinta, la sua volontà impedita, tornò a volare, alimentata da tutti coloro che idealmente rappresentava e si portava nella traversata. I diversamente abili, come lui, che per altri versi lo era comunque sempre stato, nella forza della sua visione, per tutta la vita. Sentirsi di poter dar voce a chi non ne ha o ne ha poca, navigando, tornando a sentire il mare e il vento sul viso, lo rese felice». Vento, onde, musica, emozioni, la sensazione di essere vivi, nonostante tutte le difficoltà. «La condivisione che più mi resta dentro è quella del suo stupore», conclude la figlia, «incredulo, davanti a chi trovava il suo viaggio una fatica impossibile anche solo da pensare: “Io ho dormito con la coperta delle stelle addosso alla mia anima nuda. Mi ha baciato il sole, spronato la tempesta, parlato il vento e lavato l’acqua dolce della pioggia. Per un anno. E la gente mi chiede il perché. Io ho fatto la cosa più bella che possa esistere e possa capitare a qualsiasi essere; ho ascoltato la Bohème cullato dalle onde”».